La sigaretta elettronica, una questione di soldi
La signora Carla ci aveva messo 50 anni per imparare a fumare due pacchetti di sigarette al giorno. Arrivata alla soglia dei settanta, si vantava di non aver passato una sola giornata della sua vita da adulta maggiorenne senza sigarette. Non era riuscita a rinunciare al fumo neppure – e di questo si vergognava molto – quando era incinta dei suoi due figli. Fino alla primavera scorsa, quando sua figlia la costrinse a entrare in uno dei tanti negozi di sigarette elettroniche comparsi all’improvviso a Roma come le lumache nei giorni di pioggia. C’è voluto un quarto d’ora: il tempo di farsi spiegare come funziona l’atomizzatore e come si ricarica la batteria, più qualche svapata di prova con gli aromi alla vaniglia e alla liquirizia. In nove mesi Carla non ha più acceso una sigaretta, l’ultimo pacchetto mezzo pieno è rimasto nel cassetto del comodino. Là dove avevano fallito le raccomandazioni dei medici è riuscita la convenienza economica: sostituendo il tabacco con il vapore Carla risparmia 200 euro al mese. «È come se prendessi un pezzo di pensione in più», racconta entusiasta a tutti gli amici.
Ecco perché è rimasta a bocca aperta quando ha letto che, dal primo di gennaio, sulle sigarette elettroniche si applica una nuova tassa del 58,5%. Lo ha deciso il Parlamento, per compensare – ha letto – il crollo delle entrate subito dal fisco per colpa del fatto che gli italiani fumano meno sigarette normali. Lo stesso motivo per cui, in questi giorni, si vuole approvare una riduzione delle tasse sul tabacco. «Lo Stato mi sta incentivando ad avvelenarmi» dice Carla. E posa gli occhi sul cassetto del comodino.